Un progetto finanziato dal MUR stila un modello di azione per una corretta manutenzione, conservazione e un restauro sostenibile e programmato del patrimonio culturale
Antonella Guida è coordinatore del corso di studio di Architettura dell’Università della Basilicata (sede di Matera), referente scientifico del Progetto inter-universitario di ricerca CNT-APPs ed è responsabile del Progetto “Innovazione di prodotto e di processo per una manutenzione, conservazione e restauro sostenibile e programmato del patrimonio culturale”.
di Maria Chiara Voci
Realizzare una sorta di “cartella clinica” del bene storico. Un luogo (ovviamente virtuale e consultabile in modo smart) in cui raccogliere tutte le informazioni inerenti un singolo edificio. Per poter agire nelle manutenzioni, nei restauri delle superfici lapidee o anche nel cambio di destinazione d’uso in modo programmato, continuativo e, soprattutto, coordinato con una metodologia chiara e condivisa. Al tempo stesso, testare e validare nuovi prodotti e tecnologie. Anche per risolvere problemi complessi, così come capita con la tecnologia CNT, unica soluzione di efficacia comprovata per la risoluzione del problema dell’umidità di risalita capillare.
Questo è l’ampio obiettivo che si pone il Progetto “Innovazione di prodotto e di processo per una manutenzione, conservazione e restauro sostenibile e programmato del patrimonio culturale”, finanziato con il bando Smart Cities and Communities and Social Innovations e sviluppato dal MUR in collaborazione con le gli atenei della Basilicata, l’Università dell’Aquila, La Sapienza di Roma, la Ca’ Foscari di Venezia e sostenuto dal partner industriale Icap Leather Chem, azienda specializzata nei prodotti chimici per il trattamento del cuoio e attiva nella sperimentazione di nanopolimeri sostenibili e biologici per il restauro di beni artistici.
Antonella Guida è coordinatore del corso di studio di Architettura dell’Università della Basilicata (sede di Matera), responsabile scientifico del progetto e membro del CNT-APPs.
Da quale necessità parte questo progetto?
«Uno dei grandi limiti che pregiudica la conservazione del nostro patrimonio culturale è la mancanza di una reale cognizione sulle caratteristiche dei beni su cui ci troviamo ad agire. In assenza di informazioni, qualsiasi intervento rischia di essere effettuato alla cieca. Al contrario, per ogni opera pubblica (e non solo) bisognerebbe oggi prevedere, già nella fase economica di computo dell’operazione di recupero, la presenza di una voce per un lavoro di conoscenza diretta e indiretta del bene, attraverso studi o prove in campo».
Quali sono gli elementi che è necessario conoscere prima di avviare un intervento di restauro?
«A monte di tutto, occorre eseguire un lavoro di ricerca archivistica e documentale, per ricostruire la storia del singolo fabbricato. Successivamente, è necessario esaminarne la consistenza di materiali e strutture. Quindi, lo stato di conservazione e/o di degrado. Inoltre, anche dopo l’intervento di ripristino, è indispensabile proseguire con un monitoraggio. In Italia abbiamo molto patrimonio. A stento, riusciamo a intervenire per metterlo in sicurezza. Poi, però, disperdiamo lo sforzo perché non programmiamo un piano di manutenzioni regolari, imprescindibili per evitare di dover ricorrere a nuovi interventi massicci in caso di danneggiamenti non controllati».
Come si sviluppa il progetto?
«Nella città di Matera sono stati individuati i siti-pilota delle Chiese di Santa Lucia alle Malve, totalmente ipogea e sostituita in una seconda fase con la chiesa Madonna dei Derelitti, rupestre e ipogea anch’essa, ubicata sull’altopiano della Murgia; di San Pietro Barisano, parzialmente scavata, e di San Francesco d’Assisi, completamente fuori terra. Dopo le attività di rilievo effettuate con tecniche non distruttive, cioè eseguite con termografie e scanner 3D, si è iniziato a lavorare sull’implementazione di una piattaforma tecnologica composta da una rete di sensori, strumentazioni di misure in situ ed ex situ. Un sistema di “data storage” ed elaborazione dei dati utile, secondo un modello predittivo, alla programmazione delle attività di manutenzione e gestione degli interventi. In particolare, è stata creata una scheda per la catalogazione e la definizione degli interventi, dove vengono individuati i costi sostenuti e i dati per la definizione del sistema di monitoraggio.
Fino a dove si spingerà il progetto?
«Al termine del progetto si arriverà alla realizzazione di un protocollo certificato, che si chiamerà Himane, dal quale risulti la frequenza ottimale di manutenzione di un’opera d’arte in funzione del suo degrado. Un portale, che si chiamerà IES, Integrated environmental System for cultural heritage, fornirà al MUR un programma di gestione di tutti i dati (scheda del bene, interventi, sperimentazioni, etc). Sarà inoltre sviluppata anche una App partecipativa, come strumento di supporto decisionale per promuovere l’accessibilità e la fruibilità dei contenuti culturali digitali di un bene».
Un test sul campo riguarda anche la prova in opera di prodotti sperimentali o già sul mercato ma innovativi nella conservazione?
«Sì. Il progetto prevede anche un test di efficacia di nuove tecnologie di prodotti non nocivi per la salute umana, a basso impatto ambientale, altamente selettivi e a basso costo, utili per le fasi di bio-risanamento e bio-ricostruzione basate sull’utilizzazione di microorganismi selezionati, autoctoni o ambientati. Il raggiungimento degli obiettivi sarà possibile attraverso l’azione sinergica e multidisciplinare di competenze derivanti da tecnologie di chimica organica ed industriale, architettoniche, farmaceutiche, biotecnologiche e dell’Information and Communication Technology».
Come è intervenuta anche l’applicazione della tecnologia CNT?
«Un partner importante di questo progetto è stata la Curia arcivescovile di Matera, che oltre a mettere a disposizione il patrimonio su cui effettuare la sperimentazione, ha anche deciso di portare avanti un’opera di risanamento installando la tecnologia CNT nel museo diocesano e nelle chiese di San Pietro Barisano e di San Francesco d’Assisi. Domodry non era partner industriale di questo specifico progetto (mentre lo è per il CNT-APPs), ma la tecnologia CNT è stata presa a parametro, anche in quanto sistema indispensabile per risolvere il problema che è la base del degrado degli edifici, cioè l’umidità di risalita capillare».