Venezia è particolarmente afflitta dal problema dell’umidità di risalita e in questa città di travolgente bellezza la tecnologia CNT ha trovato un vero laboratorio che ne conferma l’efficacia.
L’architetto Tiziana Favaro ha lavorato per quarant’anni nella Soprintendenza di Venezia, una vita dedicata alla rinascita di numerosi edifici storici attraverso interventi di restauro complessi, ma entusiasmanti. Tra questi, la chiesa di Sant’Antonino Martire, conosciuta come Chiesa di Sant’Antonin. Chiusa al culto dal 1982, ha vissuto circa 20 anni di restauri che hanno interessato intonaci, altari, sculture, dipinti, arredi lignei, oltre al tetto e al campanile.
La chiesa di Sant’Antonin, nel centro storico di Venezia, ma periferica rispetto alle attrazioni principali, è tornata a nuova vita attraverso un percorso che ha anche portato alla luce alcuni reperti archeologici, in particolare un sarcofago del primo Trecento, strutture tombali e fondazioni dei precedenti impianti e una serie di ceramiche quattrocentesche. Tutto è stato esposto in una cappella della chiesa che, grazie alla sua struttura a navata unica, è particolarmente indicata anche per mostre, non a caso è stata utilizzata per installazioni della Biennale.
«La scoperta della tecnologia CNT da parte mia è stata casuale – racconta Tiziana Favaro – nel 2011 partecipai con mio marito ad un convegno a Bologna, nel corso del quale ne furono illustrati alcuni casi di utilizzo in edifici storici proprio a Venezia. In quell’occasione l’azienda produttrice (Domodry) ci propose l’installazione in via sperimentale di una apparecchiatura basata su questa tecnologia che, sulla base delle indagini effettuate, ha dato eccellenti risultati, eliminando sostanzialmente il problema dell’umidità di risalita nella parte della chiesa di Sant’Antonin in cui era stata applicata».
Di fatto la chiesa era diventata quasi un laboratorio per lo studio dell’umidità di risalita, fenomeno cruciale per questa costruzione che, al pari di Piazza San Marco, è molto bassa rispetto al livello del mare. Per monitorarla e quindi contrastarla infatti, nel corso degli anni sono stati raccolti molti dati. «Qui avevamo già realizzato un intervento innovativo – spiega l’architetto – per salvaguardare la presenza di strutture tombali sotterranee di valore storico non era infatti possibile introdurre le vasche di cemento armato sotto i pavimenti, di solito utilizzate come protezione dalle maree. Abbiamo invece messo a punto un sofisticato impianto di drenaggio». Sempre in via sperimentale era stato installato nel corso del restauro anche un sistema elettrofisico per contrastare l’umidità di risalita che purtroppo si è poi rivelato inefficace.
La tecnologia CNT è stata quindi inserita nel 2011, in sostituzione del suddetto sistema elettrofisico e in un contesto già ampiamente analizzato e, una volta collaudata e messa e regime questa soluzione, la Soprintendenza nel 2014 ha fatto eseguire nuove rilevazioni da un ente esterno, che hanno confermato il notevole risultato già raggiunto nel 2013.
Tutti i dati sono stati infine pubblicati.
Resta il fatto che, terminato il restauro, applicate le tecnologie per la soluzione di problemi come l’umidità di risalita, dovrebbe comunque proseguire la manutenzione, diversamente i processi di degrado possono riattivarsi, ad esempio nel caso in cui non si provveda al risanamento dai sali residui che altrimenti, per igroscopia, possono assorbire umidità dall’aria ambiente tornando a sfaldare gli intonaci».